Non conosco Antonio Romagnolo di persona, ma una serie di coincidenze fortuite fece sì che i nostri percorsi si incrociassero, vari mesi fa, su quella specie di grande bar virtuale che è Twitter. Conoscete il tipo di situazione in cui siete infervorati in una conversazione con un paio di amici, e all’improvviso, da dietro sentite una voce: “Scusate se mi intrometto, ma….”
Una cosa tirò l’altra e diventammo ‘amici su Facebook’ - a prova, per chi ancora insistesse sul contrario, che il social network di Zuckermann offre alternative valide a una semplice dipendenza da Farmville e Mafia Wars. Ma non solo, perché quando finalmente la mia tabella di marcia da bibliodipendente mi portò ad aprire la copia cartacea di
Sono Io, La Tua Aria che Antonio mi aveva generosamente regalato, da amica virtuale mi ritrovai catapultata nel ruolo di vera e propria
fan. E sappiamo tutti come sia il sogno di ogni fan che si rispetti il potere intervistare i propri
mostri sacri, no?
E allora, senza bisogno di altre introduzioni, passo la parola ad Antonio, ma non senza prima ringraziarlo pubblicamente qui per avere trovato il tempo di rispondere a queste mie cinque domande.
Quando è nata la tua passione per la scrittura?
Inizialmente la scrittura per me non fu una passione, bensì un’imposizione. Quando frequentavo le scuole elementari, mia madre, che non era ancora passata di ruolo ma già insegnava italiano alle medie, pensò bene di utilizzarmi come cavia.
A scuola ci andavo di pomeriggio. Al mattino facevo i compiti, e subito dopo lei mi costringeva a scrivere. Di solito mi dettava un titolo di un tema, oppure mi lasciava libero di scegliere, altrimenti si inventava una ricerca o una prosa.
Ogni mattina, dal lunedì al sabato, io dovevo scrivere, e la cosa che odiavo di più erano le prose. I miei quaderni erano sempre pieni d’inchiostro rosso, nonostante la prima bozza fosse sempre in brutta. Odiavo scrivere a quel modo, ma qualcosa accadde. Iniziai a pensare in maniera diversa. Involontariamente cominciai ad elaborare un numero alto di informazioni riproducendole a piacere mio. Questo accadde anche perché, dopo il tema, o il riassunto, o la ricerca, e soltanto dopo, mi veniva concessa la libertà.
Ti spiego meglio.
La Sicilia è un luogo meraviglioso, soprattutto al mattino.
Scrivere velocemente quelle quattro pagine, facendo felice mia madre, significava essere libero in un posto pieno di luce. Di solito andavo in bici al porto ad esplorare; amavo spiare le ciurme delle barche a vela. Mi ricordo del forte odore di nafta, e di bellissime donne, bionde, ma non depilate. Ho delle chiare immagini, di queste persone che venivano in Sicilia, in barca a vela, dal Nord Europa; gente accaldata, strana, forse anche troppo sporca, ma interessante.
Altrimenti andavo dai pescatori sul lungomare. Alcuni vendevano il pesce, altri giocavano a carte. Si trattava di uomini che a voce alta raccontavano il mare, o che litigavano per una partita di calcio. Per me ascoltarli era comunque un momento magico.
Il marina del porto e la spiaggia dei pescatori distano forse un chilometro, e sono uniti da una lunga passeggiata sul mare. Io scorrazzavo felice e sudaticcio, dal porto alla spiaggia dei pescatori, almeno sette volte al giorno, e pedalando creavo nella mia mente delle storie che riguardavano quei personaggi che giornalmente osservavo. A volte mi innamoravo di qualcuna di quelle donne, me ne innamoravo a tal punto che ancora oggi mi sembra di ricordarle. Ovviamente la mia fantasia mi faceva volare.
Forse il lavoro che ero costretto a fare a casa con mia madre, associato alla mia curiosità e al bisogno di dover dare un senso, un ordine, ed una direzione alle mie emozioni, fece scaturire la passione verso la creazione di storie. Storie, che comunque, nascevano e morivano lì, perché non le scrivevo; ero nauseato dalla scrittura.
La cosa strabiliante che accade però non fu questa, ma fu che a scuola iniziai a far finta di leggere i miei riassunti o le mie prose. Capitò tutto per caso. Un sabato non andai a scuola per una vendemmia che durò due giorni, ed il lunedì mi ritrovai impreparato. La prassi del lunedì era sempre la stessa: la maestra uno per volta, in ordine alfabetico, ci chiedeva di leggere la prosa o il riassunto che ci aveva chiesto di sviluppare durante il fine settimana.
Stiamo parlando di una paginetta. Io ero costretto a scriverne 24 alla settimana di paginette, e lo facevo nella maniera più veloce possibile.
Ricordo esattamente che quel giorno ascoltai gli altri quindici miei compagnetti che mi precedevano sul registro, e dopo con assoluta calma recitai il mio riassunto con successo guardando una pagina bianca. Questa cosa continuò per delle settimane. Ero infatti riuscito anche a manipolare mia madre, dicendole che al sabato non si dovevano fare più i compiti. Lei, che odiava i compiti del sabato, non si lamentò e non fece domanda alcuna.
Fino a quando, un giorno, un mio compagno di classe disse alla maestra che le pagine del mio quaderno erano bianche. La cosa diventò un affare di stato. Io, infatti, da mesi non facevo prose e riassunti, bensì prendevo in giro sia mia madre che la mia maestra. Mia madre comprese la genialità, e non si arrabbiò molto, ma la maestra non capì. Ricordo con eccezionale chiarezza il ritorno a casa dopo l'incontro tra me, mia madre, e la maestra. Quella fu la camminata più silenziosa della mia vita, ma mi fece intendere quanto mia madre sperasse in quelle mie capacità, ed intuire che il sistema nel quale vivevo non mi avrebbe mai permesso d’esprimermi. Non me lo disse subito mia madre quello che pensava in realtà, aspettò venticinque anni, e per venticinque anni si disperò domandandosi e domandandomi quando, e se, avessi avuto intenzione di usare la mia intelligenza.
La routine non l’ho mai persa, perché non ho mai smesso di scrivere. Diciamo che da grande scrivere è divenuto un vizio, e come tutti i vizi difficilmente riesco a farne a meno. L’unica cosa che dovetti decidere fu di iniziare a scrivere seriamente, con l’intento quindi di pubblicare. Questa cosa accadde nel 2002, e da quel momento mi sono dedicato intensamente alla scrittura adottando un’intensa introspezione ed un’attenta osservazione del mondo che mi circonda.
[Seguirà Parte II ]